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martedì 19 dicembre 2023

MARIUCCIO

Un progetto importante, tre mesi di lavoro serratissimo, un fumetto corredato di redazionali e un albo digitale animato, un team spaziale, notti in bianco e poi la gioia: benvenuto Mariuccio, ti si vuole già un mare di bene! 🌊💙


Mariuccio è un ragazzino, ma all'occorrenza è una pesciolina, una polpessa, una medusa, una granseola 🦐🐙 🦑

Il Penna Grigia è la cavalcatura delle sue avventure acquatiche e terrestri, e Alice è la sua amica "grandissima", che è curiosa come un granchio 🦀 

Se vi va di conoscere Mariuccio, Alice e l'equipaggio del Penna Grigia, guardate, leggete e scaricate gratuitamente l'albo digitale illustrato "Buoni come il mare", e la prima avventura a fumetti "Una chela lava l'altra" 🤓💬 



Soggetti, sceneggiature, redazionali e coordinamento lavoro: Malusa Kosgran

Illustrazioni e fumetto: Claudio Bandoli

Animazione albo digitale: Lisetta Fabris

Traduzione ITA-EN: Gabriella Ferrante

Supervisione: Mauro Riserbato


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Buoni come il mare

https://bit.ly/3R7hEBG


As good as the sea

https://bit.ly/484XnDo


Una chela lava l'altra

https://bit.ly/3uGO8ed


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Progetto in collaborazione con Federpesca  e GAL Ponte Lama di Bisceglie 


#mariuccio 

#buonicomeilmare

#unachelalavalaltra

lunedì 17 luglio 2023

"Monteruga" – intervista all'autrice Anna Puricella

Ho finito di leggere “Monteruga” una decina di giorni fa e, complice il caldo – africano, tropicale, folle – il canto infernale delle cicale mi risuona ancora nelle orecchie. Ho fatto qualche domanda all’autrice, Anna Puricella, al suo brillante esordio letterario.

MK –  “Monteruga” è il tuo primo romanzo, anche se la scrittura è il tuo mondo da svariati anni, e la tua esperienza nel giornalismo traspare, dallo stile asciutto alla struttura narrativa a scatole cinesi. Qual è stato il momento in cui hai deciso che volevi scrivere un romanzo e come hai scelto la storia fra le infinite possibili?

AP – Sì, scrivo da molti anni, ma la scrittura giornalistica abitua alla fretta: è tutta un’altra questione. Ci ho messo parecchio a capire che la scrittura di un libro è cosa ben diversa, di conseguenza è stato importante prendermi il giusto tempo. Non ho deciso “quando” iniziare né che stavo “già” scrivendo un libro, non finché la cosa è andata avanti. Avevo una sorta di ossessione per Monteruga e durante il lockdown, isolata in casa come tutti, mi sono ritrovata a passare le serate su Google Earth a guardare il paese dall’alto, dall’alto perché le strade non possono essere percorse perché sono ormai tutte private. Avevo un centinaio di foto storiche di Monteruga – un dono di una decina di anni fa ricevuto dopo il mio primo sopralluogo per Repubblica, il giornale col quale collaboro – che ho cominciato a riguardare in maniera spasmodica. Ho continuato a fissarle finché hanno cominciato a parlarmi, a raccontarmi dettagli. Mi sono lasciata andare alla storia pian piano, è stata lei ad arrivare da me, formandosi pian piano nella mia testa. In un primo momento la trama apparteneva al passato, ma gradualmente sono emersi i personaggi del presente, ossia del 1993, e lasciandoli fare ho visto che interagivano fra loro. Non so dirti perché la storia abbia preso questo taglio, ho solo seguito quello che vedevo nella mia testa, e tutto si è incastrato in maniera perfetta. Considerando che sono una persona che non guarda film horror e non legge noir o thriller, sono tuttora stupita che sia venuto fuori questo libro. Evidentemente era dentro di me.

MK – In “Monteruga” ci sono Angelo e Valerio, e ci sono anche tanti altri personaggi,  ma a parer mio il protagonista del tuo romanzo è lo scirocco, “il vento che fa impazzire”. L’assenza di pasticciotti e pizziche non fa dimenticare che la storia si svolge in Salento. Tutt’altro. I luoghi si vedono, la polvere si calpesta, il verso delle cicale si sente: chi ha dettato? L’amore per la tua terra o l’insofferenza per chi non ha mai capito come amare la Puglia?

AP – Sì, vero: lo scirocco è protagonista. Io sono originaria della zona dove sorge Monteruga (NdR: cittadina ormai fantasma esistita ed esistente), e dalle mie parti ha un nome particolare, “faugno”. È il vento che toglie la ragione, che fa sudare., che si appiccica alla pelle. Nel momento in cui ambientavo una storia ad agosto, era inevitabile che ci fosse quel vento e tutto quello che si porta dietro, cicale comprese. Quello di Monteruga è un Salento che ho fortemente voluto diverso. Sono stanca del Salento da cartolina che ci propinano da anni, pizziche e pasticciotti inclusi: non avrei mai potuto scrivere una storia con quegli stereotipi. Per me il Salento è anche quello arido dell’entroterra, quello polveroso dove si impazzisce se lo Scirocco soffia forte, e dove i legami “animaleschi” fra le persone a volte portano ad accadimenti estremi e crudi. Questo è il mio Salento e non potevo ignorarlo o a immaginare un libro che non ne tenesse conto. Quindi sì, il romanzo è frutto di un amore sconsiderato per la per alcuni pezzi della mia terra d’origine, Monteruga compresa, che per me non è soltanto un luogo, è un’ossessione che va avanti da dieci anni. Insieme allo scirocco, è lei la vera protagonista del libro: è l’espressione plastica del tempo sospeso, un concetto che ho compreso scrivendo, non comune soltanto al Salento ma a un’intera generazione, quella degli anni Novanta che racconto.


MK – Il 1967 e il 1993 sono i due anni-chiave del romanzo. Si tratta di due momenti distanti fra loro caratterizzati da due diversi incidenti; solo i due bandoli di un’unica matassa che districhi con una pazienza antica, preparando chi legge al colpo di scena che quando arriva, tutto ricongiunge: com’è stato avere il destino dei personaggi fra le mani?
 
AP –  Sì, il ‘67 e il ‘93 sono gli anni che definiscono la cornice nella quale si svolge la storia. In una vecchia foto di Monteruga che conservo si vedono tabelle elettorali, che compaiono anche nel romanzo, datate 1967: la storia parte da lì perché significa che in quel periodo Monteruga era viva. Il 1993 è stato un anno che ho definito con un calcolo matematico. Avevo bisogno di un protagonista, Angelo, che fosse un giovane adulto in un’epoca in cui Monteruga era disabitata. (NdA: Per me il ‘93 è magico anche perché è l’anno di uscita di “In Utero” dei Nirvana, ma questa è una fissa mia). Lavorare ai personaggi e avere il loro destino fra le mani è stato complicatissimo. Sono stata loro convivente per qualche anno e ho capito che li dovevo seguire, per cui ho aspettato a lungo prima di delinearli.  Avendo un’impronta giornalistica ho bisogno di visualizzare per poter raccontare. Quando ho cominciato a vedere i personaggi, ho potuto vederne anche le azioni: è stato quello lo switch che mi ha permesso di scriverne. Al loro destino preferisco non pensarci visto che comunque hanno vite molto al limite, estremamente complicate: tutte le scelte che ciascuno di loro prende sono inevitabili, quindi non ho potuto far altro che assecondarle.


MK – Dicci che stai già scrivendo un nuovo romanzo e la chiudiamo qui :)

AP – Vorrei dirti di sì, sarebbe semplice e motivo di grande gioia per me, ma no. Però c’è una storia che bussa da un bel po’ di tempo, con nuove figure che hanno bisogno di essere ascoltate. Spero di potermici dedicare quanto prima al netto di tutto il carico di gioia e meraviglia che mi sta portando la pubblicazione di “Monteruga” che ora non è più soltanto mio.






"Enrico the book" – Intervista a Francesca Garofalo



Zapponeta non è solo focaccia, cipolle, mare e Nicola Di Bari; nel libro di Francesca Garofalo, Zapponeta è anche Zapponè ed è la Hogwarts del suo "Enrico".

MK – Hai scritto un racconto molto divertente, apprezzabilissimo anche da quell'1% che non conosce HP, un super omaggio per il restante 99% di ultrafan della saga della Rowling: c'è stato qualche seguace della "Divina" che non ha capito il tono leggero e a tratti disperato del tuo "Enrico"?

FG – L’intento era porgere un omaggio sentimentale e ironico allo stesso tempo, esattamente, e per fortuna è stato colto da chiunque lo abbia letto. Mi è capitato però di imbattermi in un paio di bookblogger che non avevano capito la vera età del protagonista e, convinte si trattasse di una storia simile all’originale, quando si sono trovate di fronte le avventure di un trentacinquenne hanno rischiato il collasso... Credo che in principio abbiano vissuto una sorta di delusione amorosa, poi sono riuscite a entrare nel meccanismo della faccenda e ne hanno apprezzato pienamente l’ironia e la leggerezza.

MK – Zapponè è il paesino in cui si muovono i tre personaggi principali, tre "spatriati": come ha accolto il cameo la cittadina di Zapponeta? 

FG – Conosco Zapponeta tramite i racconti leggendari e molto divertenti di una persona cara che vive nella zona, e ho avuto modo di passarci di sfuggita un paio di volte, ma sono sicura che sia migliore di come l’ho dipinta io. Ho preso solo qualche spunto. Dubito che Zapponeta conosca "Enrico" o abbia idea che un racconto sia stato ambientato tra le sue strade. Se così fosse ne sarei onorata!

MK – Nonostante la sua leggerezza, la storia ha uno stile narrativo mai banale e un lessico puntale e ricercato che non disdegna dialetto e dialettismi della Capitanata, uno per tutti "trmon'", già sdoganato da Michele Emiliano: che ricetta hai usato per dosare sacro e profano?

FG – Può sembrare strano e inappropriato che una napoletana si impadronisca di un dialetto che non le appartiene (sarà una piccola vendetta nei confronti di Renzo Arbore? Ovviamente si scherza), ma ho amici della zona, e ascoltarne la cadenza divertente e gioiosa è stato un colpo di fulmine. Nessun altro dialetto nel mio immaginario avrebbe avuto la stessa efficacia per dipingere "Enrico". Questi amici si sono prestati persino come consulenti per le parole più complicate! C’è anche da specificare che, essendo Zapponè immaginaria, lo è anche la sua lingua, costituita da un mix di parole e modi di dire di varie località. Forse a volte ho esagerato con le espressioni colorite, ma "Enrico" è così: non sa cosa siano i filtri!

MK – «... Quando capirà che a fare le cose fra cugini escono i figli elfi, sarà troppo tardi!» Questa mi ha davvero fatto sbellicare! Il tuo humor inglo-apuliano dà un tocco assolutamente originale al racconto, è la tua cifra stilistica o la cifra di "Enrico"?

FG – Posso dire che c’è parecchio di me in "Enrico". Il libro più del personaggio. Ho sempre adorato il black humor, le commedie anglosassoni alla “Funeral Party” di Frank Oz e Dean Craig. Il fatto che sia emerso anche questo ulteriore aspetto mi rende davvero felice!

MK – Hai già scritto un sequel di che si intitola "Enrico e l'Ottagono di Pietra": dicci che arriverai al libro numero 7!

FG – Per carità, ma grazie di avere avuto il fegato di immaginarlo! Già convivo con il terrore di aver fatto un possibile e non voluto sfregio all’opera della Rowling, sebbene nelle mie intenzioni ci fosse una quantità smisurata di amore per la saga. Non sarei mai in grado di proseguire oltre il secondo capitolo, al massimo potrei ipotizzarne un terzo . In fondo, le avventure di "Enrico" sono un pretesto per raccontare la sua crescita emotiva e la sua evoluzione, anche se a trentacinque anni suonati si dovrebbe essere già abbastanza avanti nel cammino... Mi sento di dire che in "Enrico L’Ottagono di Pietra" c'è molta più carne al fuoco, nuovi personaggi che fanno concorrenza alla sua sconsideratezza; è un’avventura alla “Goonies” con qualche attimo di vera magia... ciò di cui lui, io come autrice e tutte le persone a cui è dedicato il libro avevano veramente bisogno.

#enricothebook 

#harrypotter #francescagarofalo



mercoledì 17 maggio 2023

"14" alla scuola Rocca-Bovio-Palumbo di Trani - Progetto "Educare alla Lettura"

Stamattina ho avuto il piacere di chiudere la serie di incontri formativi inclusi nel progetto "Educare alla Lettura" finanziato dal Centro per il Libro e la Lettura e organizzato congiuntamente da Edizioni la Meridiana e da La Maria Del Porto - Associazione Culturale (Dialoghi di Trani); un percorso di aggiornamento per insegnanti della scuola secondaria di primo grado, bibliotecari, librai ed editori finalizzato a una conoscenza più approfondita del panorama editoriale contemporaneo.

Davvero una lodevole iniziativa!
👏📚

È sempre una gioia incontrare i ragazzi e le ragazze che non solo hanno letto "14", ma ci hanno lavorato su creando copertine alternative, originali e fantasiose, poesie con il metodo Caviardage e cartelloni; soprattutto, è sempre divertente rispondere alle loro domande: la curiosità va coltivata!
🌿

Grazie alla solerte prof Grazia Amoruso per il coinvolgimento e ai docenti presenti questa mattina insieme alle loro classi, la 2^ I e la 2^ B della scuola media Rocca-Bovio-Palumbo, in particolare alla prof Daniela Cantarella per l'introduzione e i sorrisi.

#14
#narrativaperragazzi
#incontrinellescuole
#educareallalettura







mercoledì 10 maggio 2023

"Malanotte" di Taddei e La Came (Coconino Press) – Intervista alla disegnatrice








MK- Un mesetto fa sono stata alla presentazione biscegliese di "Malanotte", graphic novel – scritta da Marco Taddei e disegnata da La Came – pubblicata da Coconino Press in partnership con Fandango: nei credits si legge che il fumetto è ispirato a "Pantafa", un film di Emanuele Scaringi, ma in realtà la graphic novel ha avuto una gestazione quasi indipendente dalla pellicola (tra l'altro davvero ben girata); com'è andata?

LC - In pratica abbiamo fatto il fumetto prima che il film fosse pronto, avevamo ben poco a cui ispirarci: qualche scatto del paese dove era ambientato il film – Malanotte (un paese immaginario), e qualche nozione folkloristica sulla figura della Pantafa. Avere così pochi indizi è stata la nostra fortuna: scrivere il prequel di qualcosa che ancora non esiste, ha permesso a me e Marco di iniziare un progetto da zero, senza essere influenzati da un’opera esistente, di conseguenza ho potuto disegnare questa storia con grande libertà. Quando abbiamo consegnato il fumetto, a settembre dello scorso anno, abbiamo avuto la possibilità di vedere un pre-montato del film. È stato sorprendente costatare come film e fumetto sembrino ambientati nello stesso paese, e come la spettrale presenza della Pantafa abbia lo stesso impatto inquietante! Temi e trama sono totalmente indipendenti e non precludono la godibilità del fumetto o del film.

MK - La Pantafa è uno spirito inquieto, un'ombra, un ricordo distorto, un'anima in cerca di vendetta, è paura atavica; ha un nome diverso in ogni regione, che talvolta cambia di paesino in paesino. A Bisceglie, in Puglia, la chiamiamo Malombra, ed è la versione "femminile" dell'uomo nero. Avete avuto modo di scoprire nuove storie che la riguardano nel tour di presentazioni di "Malanotte"?

LC - Per ora le scoperte più interessanti e pertinenti le abbiamo fatte spingendoci a Sud. Qua in Toscana, per esempio, bisogna sempre spiegare da zero cosa sia la Pantafa; non esiste un corrispettivo nell’immaginario comune. In una presentazione abruzzese, uno dei moderatori era un super nerd del folklore locale: non riusciva a capacitarsi di come io sia riuscita a rendere così bene l’idea di uno spettro che non fa parte della mia cultura. Penso di avergli risposto che adesso mi è più complicato addormentarmi la sera...

MK - Il genere horror si ama o si aggira. A Bisceglie ci hai raccontato di averne timore... Disegnare ambientazioni cupe, evocative e inquietanti ti ha impressionata? Hai mai avuto paura delle tue stesse atmosfere da incubo?

LC - Spesso mi sono trovata nella situazione di dover ampliare il mio immaginario, e l’ho fatto aggiungendo scalini che si sono addentrati nelle mie di paure scendendo sempre più in profondità. In "Malanotte" si parla di argomenti più pericolosi degli spettri perché più vicini a ognuno di noi: l’emarginazione, la discriminazione, il rancore, la follia. Disegnare alcune delle scene che sono in questo libro mi ha fatto risuonare qualcosa dentro, come se certi soprusi li avessi vissuti sulla mia pelle.

MK - "Malanotte" ricalca un paesino reale, e la tua ricostruzione è davvero impressionante: i suoi abitanti sanno che le loro case, i vicoli, il cimitero e tutto il resto sono diventati la location di una graphic novel?

LC - Ahahah, no! Non ne sanno niente, e forse non lo scopriranno mai! Anche perché, a parte alcuni angoli di Roccacasale – si chiama così il paesino dei nonni di Marco – che ho ricalcato pari pari e magari sono riconoscibili, il resto è un lavoro certosino di taglia e cuci di foto di paesi diversi, vicoli immaginari, cimiteri che prendono ispirazione da uno scatto per diventare qualcosa di completamente nuovo una volta che la tavola a fumetti è finita. Le reference fotografiche sono un nucleo fondamentale dal quale partire; senza, per me sarebbe stato impossibile immergermi nella quotidianità di un paesino fra le montagne abruzzesi.

MK - "Malanotte" non è a colori, ma non si può dire che sia in bianco e nero, perché i tuoi grigi rappresentano un ricco ed efficacissimo arcobaleno macabro capace di trasportare i lettori in quelle vie, davanti a quelle facce. Quali sono i tuoi strumenti? Cambi registro ogni volta per raggiungere obiettivi differenti?

LC - Cambio stile per ogni storia che illustro. Penso che questo sia dettato dal bisogno di mettere i disegni al servizio della storia e non viceversa. Una volta letta la sceneggiatura di "Malanotte", l'ho immaginata subito in bianco e nero: scene di quotidianità immerse nella luce e improvvise tenebre spaventose. L’aggiunta del grigio è arrivata dopo per motivi di leggibilità delle tavole a fumetti: il mezzo tono mi ha permesso di rendere ancora più comprensibili le atmosfere sia in luce che in ombra. Le tavole sono disegnate interamente in digitale, ma con strumenti che simulano le penne, i pennelli e il carboncino che uso nei bozzetti; un pannello sottile per le linee e un carboncino per i neri. Ho sempre sostenuto che un bianco e nero fatto bene, non ti fa sentire la mancanza dei colori. Mi piacerebbe sapere da chi leggerà questo libro, se ci sono riuscita o meno.

mercoledì 9 novembre 2022

"14" protagonista dei lavori digitali della I^C dell'Istituto Comprensivo "via Sacco e Vanzetti" di Torremaggiore

Con infinita gioia scopro questi lavori meravigliosi realizzati dalla I^ C del Istituto Comprensivo "via Sacco e Vanzetti" di Torremaggiore (FG), classe inclusa nella giuria dei lettori del Premio di narrativa per ragazzi e ragazze La Magna Capitana 2022 che ha premiato "14" nella categoria 11+

Sono grafiche molto belle e ben curate, ne sono davvero onorata. 

Grazie 💚💙💜❤️🧡💛



#torremaggiore #14 #laboratoriodigitale #premioletterariolamagnacapitana2022 #narrativaperragazzi



lunedì 31 ottobre 2022

"14" ospite del Buck Festival 2022

Non è facile decidere quali parole usare e quali foto #condividere per riassumere/rendere/suggerire che cos'è il Buck Festival in generale, e cosa e quanto abbia significato per me farne parte in qualità di autrice, soprattutto a "caldo"; ma provarci fa parte del mio modo di essere.

Una lavatrice con una centrifuga delicata. Una #condivisione continua di storie, risate, batticuori, emozioni, cibo, esperienze. Una #rivelazione ricca di #empatia – che è il contrario della #apatia – capace di portar via ogni #malinconia e #tentennamento e di creare #connessioni e #corrispondenze che profumano di magia. Un sogno lucido a occhi umidi.

Grazie infinite a Milena Tancredi, direttrice artistica di questa kermesse incantevole importante e generosa che mi ha adottata per quattro giorni interi. Grazie ad Aldo Ligustro, Presidente gentile della Fondazione dei Monti Uniti di Foggia; e poi grazie, a pioggia, a tutte le persone che hanno collaborato, guidato, spiegato, accompagnato, cucinato, tifato e lavorato instancabilmente prima e dopo il 20 ottobre. Questo Buck Festival è stato un #impatto fra anime affini, attente e geniali.


Un libro non è di chi lo scrive, ma di chi lo legge, ci disegna, lo colora, ci ride e gioca insieme. Felicità ♥️

lunedì 22 agosto 2022

"Fuori di galera": tre domande a Pino Pace



Ho appena letto “Fuori di galera” un romanzo per ragazze e ragazzi scritto da Sofia Gallo e Pino Pace per Marcos y Marcos, e non sarei qui a scriverne se non mi fosse piaciuto: lascio le critiche ai critici e le sviolinate ai musicisti. Scrivere per le lettrici e i lettori più giovani è meno semplice di quanto possa sembrare, lo stile deve esserlo, non le storie. E questa non lo è. Sa di vita vera, di crescita e di emozioni violente. Ho conosciuto una delle due penne di “Fuori di galera” qualche mese fa, e nel fine settimana ho fatto a Pino Pace tre domande per raccontarvi qualche dettaglio della disavventura capitata a Ilde, un’odissea pilotata da suo padre, un ex galeotto.

M.: Dove comincia la scrittura di Sofia e finisce quella di Pino? Come siete riusciti ad amalgamare così bene i vostri stili narrativi?

P.: L’idea di partenza è stata mia. È la storia di una ragazza con un padre – Angelo – che esce di galera dopo dieci anni e la rapisce; e Ilde, in qualche maniera, si lascia rapire. Oltre a essere un rapinatore e forse un assassino, Angelo è un uomo affascinante, e Ilde ha voglia di conoscerlo. Poi non sapevo come andare avanti, a me capita ogni tanto. Una sera ne ho parlato a Sofia Gallo e lei mi ha detto: fammelo leggere. Abbiamo cominciato a rivederlo e a spedircelo, e il gioco è andato avanti per qualche anno, facendo altro, naturalmente. Dopo un po’ non sapevamo più chi aveva scritto cosa, per questo è davvero un romanzo a quattro mani. A fine lavoro, quando avevamo anche trovato un editore, ci ho rimesso mano per rendere omogeneo lo stile, ma davvero è stato un lavoro a due.

M.: La protagonista ama i libri e ne presta un tot “di evasione” a suo padre: “Delitto e castigo”, “Il ritratto di Dorian Gray”, “Il deserto dei tartari”, “Siddharta” e “Il processo” sono titoli che consiglieresti a ragazzi e ragazze come Ilde o solo ad adulti come Angelo?

P.: Per Angelo vanno benissimo perché pur sembrando un uomo sicuro di sé è uno che ha di fronte ancora qualche anno di galera. Angelo si rifiuta di invecchiare, come Dorian Gray. È chiuso in una fortezza e attende qualcosa che non arriverà mai, come Drogo nel Deserto dei Tartari. Quello che arriverà, invece, sarà un processo. E Siddharta potrebbe essere una lettura che gli dà speranza. Angelo non è solo, ha una figlia intelligente ed esigente che lo aspetta, certo che dovrà faticare un po’ a conquistarla, ma in queste letture ci sono indicazioni preziose. E sono indicazioni preziose per tutti e tutte, certo che sono letture adattissime a ragazze e ragazzi. Provate.

M.: Il linguaggio è sempre coerente con i personaggi: un ex galeotto o il manipolo di delinquenti che gli gravita attorno devono necessariamente parlare e comportarsi per quello che sono. Hai avuto rimostranze o pareri negativi da parte di genitori o insegnanti? Come hai replicato?

P.: Sì, è successo un paio di volte. Degli insegnanti mi hanno riferito di genitori che hanno criticato il libro per qualche parolaccia. In un qualsiasi film in prima serata se ne sentono di peggio, ma c’è questo luogo comune che vuole la narrativa per ragazzi come un’isola incantata, un po’ fuori dal mondo. Io e Sofia quelle parole (davvero molto blande) le abbiamo misurate, e volevamo che i personaggi parlassero in maniera realistica. Detto questo è un romanzo dove i personaggi crescono, capiscono cose che prima non capivano, tutti: la ragazza, la madre e il padre. E poi è anche una storia divertente e commovente. Provate a leggerlo, secondo me potreste anche non accorgervi che a una ragazza che si trova di fronte l’assassino di suo padre, gli esca un “cazz...”!

Fatemi sapere se lo leggete.