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venerdì 9 agosto 2019

Black is the new green




Questo post non serve a niente.
Eppure voglio scrivere di Ettore, Vittorio e Anna.
I loro nomi sono altri, ma non ha alcuna importanza.

Ettore, Vittorio e Anna hanno una cosa in comune: non sono completamente italiani, non più.
Hanno smesso di esserlo integralmente perché hanno tutti commesso una serie di gravissimi errori.

Il primo è viaggiare.
Si spostano per necessità, per lavoro, per curiosità. Perché il mondo è immenso, e ignorarlo non va bene a tutti. È proprio durante uno dei loro spostamenti che hanno commesso il secondo imperdonabile sbaglio.

Si sono innamorati.
E non (solo) dei luoghi, degli usi, dei costumi o del salario. Di Kristen, Julia e Igor.
Kristen è del Sudafrica, ha conosciuto Ettore a Johannesburg.
Julia è della California, ma ha vissuto anche a Barcellona ed è proprio lì che ha incontrato Vittorio.
Igor è del Sudan, ma vive nel Belpaese da 25 anni molti dei quali in coppia con Anna.
Kristen, Julia e Igor, allinizio, non avevano granché in comune con Ettore, Vittorio e Anna.
Altro cibo, altra religione, altre tradizioni.
Questi caparbi e incoscienti italiani medi non si sono limitati a vivere “lì” e “allora”.
No no. Hanno scientemente deciso di strafare, prendendo la terza maledetta cantonata.

Sposarsi.
Già. Perché talvolta rendere legale lamore non è solo una scelta consapevole. È necessario. Nel loro caso no, sono convolati a nozze perché è sembrata loro cosa buona e giusta. Onesta.
Ho partecipato al rito civile che ha unito Ettore e Kristen: hanno giurato di amarsi e onorarsi fino allultimo dei loro giorni davanti a un mucchio di parenti, amici e testimoni. In due lingue. Ero una fra i tanti che li guardava con gli occhi lucidi e un sorriso inevitabile sulle labbra, felice per la loro felicità e per quella dei loro genitori.

Non ancora contenti delle varie malefatte, sia Ettore e Kristen che Igor e Anna hanno davvero deciso di esagerare: i primi mettendo al mondo un bambino, i secondi adottandone uno del Burkina Faso. Vittorio e Julia non hanno ancora osato, ma – fino a prova contraria – rappresentano comunque un nucleo famigliare.

Tre coppie, otto persone, tre famiglie.

Vi ricordate di Green card, la pellicola con Gérard Depardieu e Andie MacDowell?
Nel film, Georges, un musicista francese, accetta un impiego negli Stati Uniti e lì incontra Brontë: i due si sposano “per convenienza” (lui ha bisogno della carta di residenza permanente per poter lavorare, mentre lei vuole un appartamento riservato alle coppie sposate) ma poi si innamorano e vivono felici, contenti e americani. Chissà, magari il re di Riace si è lasciato ispirare da Hollywood.

Essendosi invece sposati “per amore”, Kristen, Julia e Igor dovrebbero essere diventati italiani a loro volta, giusto? Sbagliato.
Dimenticatevi Georges, Brontë e gli Stati Uniti (di allora).
Qui siamo in Italia, un paese dove ormai lamore non ammette ignoranza, mentre tutto il resto può osannarla.

Kristen, Julia e Igor hanno un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo ma non la cittadinanza – significa che possono stare in Italia, che non sono clandestini e che hanno qualche diritto e tanti doveri proprio come tutti gli italiani – ma che se per caso Ettore, Vittorio o Anna dovessero divorziare da loro, o se dovesse succedere loro qualcosa, il permesso da soggiornanti di lungo periodo di Kristen, Julia e Igor andrebbe convertito in permesso di soggiorno di lavoro o di studio. Che comunque non è la cittadinanza e che implica il dato di fatto che abbiano un impiego da almeno cinque anni (no, essere genitore e casalinga/o non è sufficiente) o che siano studenti. In caso contrario, se ne devono tornare “al paese loro” anche se lì, magari, non c’è più (o non c’è mai stato) niente e nessuno ad attenderli.

Con i figli? Non necessariamente.
Potrebbero al contrario essere costretti a lasciarli in Italia con laltro genitore (se campa e se li vuole). O presso una casa famiglia.
Possibile? Fattuale.
Pur essendo diventati mamma e papà nel paese che si riempie la bocca di parole quali famiglia e cristianità e che ringrazia la Madonna e i Santi come rito scaramantico, il Ministero dellInterno, e quindi lo Stato Italiano, non riconosce l’importanza e l’imprescindibilità del legame genitoriale: non essendo diventato il cavallo di battaglia di nessuna forza politica, l’indigesto Ius soli è rimasto in fondo alla lunghissima lista delle cosette da fare per dimostrarci un paese civile.

Perché Kristen, Julia e Igor si sono visti rifiutare la cittadinanza?
Per la lingua. Poco importa che una percentuale imbarazzante di italiani creda che l’analisi grammaticale sia un percorso di descrizione diagnostica che possono permettersi solo i ricchi e che quella logica sia appannaggio dei temibilissimi radical chic.
Le due ragazze non hanno superato il B1 del QCER (test di italiano) mentre Igor ha scioccamente pensato che fornire i suoi attestati lavorativi quale documentazione comprovante (vale a dire centinaia di ore certificate presso la Regione e in innumerevoli corsi presso istituzioni nazionali come il Ministero di Grazia e Giustizia) valesse ben più di un generico test. Della serie: “È il mio mestiere, lo faccio da 25 anni, va da sé che con i miei utenti parlo in italiano, non gesticolo.”
No. Non va da sé manco per niente.

E allora che si fa?
Si potrà sicuramente integrare la richiesta di cittadinanza con i documenti rivisti e corretti per renderla valida al 100%! È il minimo, no?
Infatti no. Non si può.
Se qualcosa non quadra, il diniego arriva e colpisce. Veloce come un dardo velenoso.
Ma si può rifare! Che cazzo.
Certo, occorre ripagare 250 euro + bolli e mica bolli. Bazzecole.
Ah, sì. Si devono anche fornire una serie di documenti di facilissima reperibilità tipo latto di nascita e il certificato penale redatti e bollati dalle autorità del paese dorigine e nei quali si ha soggiornato.
Come? Niente di più agevole.
Andando in TUTTI gli stati in cui si ha vissuto e richiedendoli. Personalmente.
Pazienza se si tratta di paesi che distano fra loro migliaia e migliaia di chilometri con conseguenti spese di viaggio, soggiorno, eccetera nonché giorni e giorni lontani dalla propria famiglia. Che volete che sia se il premio è diventare italiani italiani e non italiani a orologeria?

Questo post non serve a niente.
Neppure per quei miserabili che “Prima gli italiani” perché Ettore, Vittorio e Anna lo erano, italiani. E ora non lo sono più. Hanno smesso di esserlo perché se è mero come è mero che innamorarsi, sposarsi, mettere al mondo dei bambini e amare significa unirsi a qualcuno per sempre, loro avranno sempre il cuore spaccato, lanimo incerto e laspetto infelice. Perché laltra metà della mela, per il nostro governo, è un tarocco.

Moglie e buoi dei paesi tuoi: è lABC.
Hai voluto un matrimonio esotico? Adesso attaccati al tram.
Minare libertà, serenità e amore è un diritto che il mite Ministro dellInterno – last but not least – si è sudato a suon di tweet bestiali. Che la ricerca della felicità sia nazionale, per Dio!

Facciamo, se volete, che questo post serva a qualcosa.
Se conoscete qualcuno che sta subendo la stessa ingiustizia più o meno legalizzata, mettiamoci in contatto. Restiamo umani. Anche se sta diventando uno sport estremo (che non tonifica nemmeno).

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