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martedì 4 ottobre 2016

La grande onda di Kanagawa


 
La grande onda di Kanagawa (Hokusai, 1829-1832)

Ogni tanto mi capita. Che l'ottimismo non argina l'onda. La sento arrivare e nonostante gli anni di esperienza, non so come scavalcarla. La mia tavola da surf si fa colabrodo e io affondo. È una sensazione. E come tutte le sensazioni non si può domare. O rimandare. E mi ritrovo a fare bilanci e confronti. Perdendo sempre. Non si deve salire sulla bilancia dopo un'abbuffata: lo sanno tutti. Eppure il senso di colpa è più forte del buon senso e obbliga a soppesare i momenti peggiori nei momenti peggiori. Sbagliando. E sbattendo il muso contro fallimenti che prima non vedevi, perché erano seppelliti in bella mostra. Non è periodica, non segue le stagioni, né le fasi lunari. Ti piomba addosso fra capo e collo, fredda come una ghigliottina virtuale che decapita senza spargimenti di sangue. Di colpo, essere propositivi non basta e gli insegnamenti di Pollyanna se ne vanno tutti a fanculo. Quasi improvvisamente, quello che sopportavi diventa intollerabile. Per una persona emotiva è più facile. Piange e si fa consolare. Per una persona emotiva, ma anche razionale, è più difficile. Piange e si fa consolare, ma non convincere. Perché sa che l'onda tornerà, e la travolgerà ancora e ancora. E allora, pur non sapendo essere superficiale, prova a seguire la strada della leggerezza. Che non è di mattoni gialli: è un nastro trasportatore. Perché per chi non si addentra nelle emozioni, sopravvivere alla vita è più facile. Qualche giorno fa, l'onda è tornata. Altissima e scura. E come sempre mi ha travolta più di sempre, strappandomi il costume della festa. Ogni cosa è diventata nera. Stanchezza. Ottobre. Il tempo. La fatica per la salita. Le solite e insufficienti spiegazioni. Poi ho ricevuto una telefonata, e ho trovato il senso. Quello che sentivo non stava capitando a me, ma a te. Ci si convince di tante cose sbagliate nella vita, io ho deciso di sbagliare credendo alle connessioni. Resisti, amico mio.

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