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lunedì 21 giugno 2010

"La Prima Donna" tra realismo e disincanto

di Vincenzo Drago

La prigionia di un corpo indesiderato, l'asprezza del linguaggio popolare, il disincanto dei tempi moderni. Questo ed altro ne "La Prima Donna", l'ultima fatica letteraria di Giustina Porcelli, presentata l'altro ieri al Ghigno.

Presente alla libreria, oltre ad un folto pubblico, anche Salvatore Marci, regista e attore teatrale.

E' proprio il poliedrico artista a mettere subito le cose in chiaro: non si tratta di un romanzo hollywodiano, con finale gradevole quanto scontato, ma di un'opera che trasmette «sensazioni pesanti e una grande crudeltà, quella della vita»; sentimenti aggravati, «anche quando si leggono frasi gentili, dal suono forte del dialetto». Vari sono infatti i vernacoli tirati in ballo nel libro, in modo tale da ottenere uno scenario sicuramente realistico, nel quale anche la morte «è secca, non barocca». E cosi come nella vita si alternano momenti esaltanti a periodi bui, nel romanzo si è «a metà strada tra il dramma e la commedia».

Più dramma, a dire la verità. Perchè al giorno d'oggi, il cambiamento di sesso, è un campo ancora tabù, che suscita vergogna e sfocia spesso nello scherno. Ne sa qualcosa il protagonista Gabry, presentato dall'autrice come «un personaggio molto fragile, che vive in un corpo che non soddisfa le sue esigenze». Questioni ben più delicate, dunque, di quelle trattate nei precedenti lavori "101 motivi per non smettere di guardare Beautiful" e "Come imparare a dire No e vivere meglio".

La storia, benchè non incentrata esclusivamente sul protagonista, «si rivolge alla gente che, ignorando questo argomento, soffre di disinformazione e superstizione». In realtà, secondo la Porcelli, la riflessione che ciascuno di noi può effettuare è ampia, almeno quanto quella di Gabry; durante l'operazione, infatti, fioccano dialoghi introspettivi provocati dal battibecco tra due galli da combattimento, simile a quello, più familiare, tra l'angelo e il diavolo.

La disillusione e il realismo sono le parole d'ordine per l'illustratrice: nei numerosi flashback, infatti, appaiono, «come per i tre colori primari, le tre cose principali della nostra esistenza: morte, vita e amore»; e, con disarmante semplicità, ammette: «Non comprerei mai un libro che finisce con un sogno, sarebbe una truffa».

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