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mercoledì 3 marzo 2010

L’UOMO DEL FORNO (Personaggi rubati a Bisceglie)

- Ci vado io a ritirare i taralli, pà. – fa Jp a suo padre. – Sono due ore che lo cerco al cellulare. – mi spiega.

(Jp è un amico di Bisceglie, Bisceglie è il mio paese d’origine, i miei vivono a Bisceglie, Jp è a casa dei miei con me, che sono fuggita per qualche giorno da Milano in preda a una colica nostalgica.)

Seguire quattro blog mi fa sentire un criceto gigante che corre sulla ruota panoramica di un luna park di periferia: fa girare la testa.
Mi serve una home sweet home in cui ritrovare i vari pezzi del mosaico che compone il mio lavoro: un sito potrebbe bastare.

Libri, sceneggiature di fumetti e illustrazioni, biografia, contatti e un tot di link: ho poche e specifiche esigenze, ma Jp ha le idee più chiare; cambia un codice htlm all’ultimo blog che ho creato (che non gli piace) e, in un click, il colore di sfondo passa dal nero al bianco. Fa magie, Jp; e non lo sa: l’ignoranza può rendere una persona facilmente affascinabile. O timorosa.

Jp mi parla di tag, di eBook e di ricerche.
- Si può fare? – gli chiedo.
- Se tu puoi pensare una cosa, io posso farla. O posso scoprire come riuscirci. – risponde lui.
Domani riparto, lavoreremo a distanza: ci scambiamo i contatti di msn e di skype.
È bello poter comunicare con facilità.

Jp guarda l’ora.
- Vuoi venire con me a prendere i taralli? - mi chiede con un sorriso. - Poi ti riporto indietro. Se no, il forno chiude. – aggiunge, e io dico di sì.
Io e Jp lasciamo i computer in stand by e usciamo, chiacchieramo del sito, di wireless e di connessioni. Vorrei sapere più cose.

Parcheggiamo l’auto e cerchiamo il forno nella stradina sbagliata. Non siamo nel centro storico, ma in un punto di Bisceglie che ospita case dal sapore antico, basse, dai muri chiari e scrostati, per lo più malconce, ma con un potenziale pazzesco. Qui, le viuzze si confondono un po’ tutte. Il profumo di pane che c’è nell’aria ci conferma di essere nelle vicinanze del forno. Jp chiede informazioni a un vecchietto abbronzato e rugoso che ci dice di andare nella strada parallela a dove ci troviamo. Allontanandoci da lui, mettiamo il naso fra le sbarre del cancello chiuso di una villa del 1858 ristrutturata di recente. Pietra e tufo bianchissimi, archi a volta e una terrazza verde: immagino sia stupefacente anche quello che non vedo.

- Non di là! A destra! – ci grida il vecchietto credendo che abbiamo male interpretato le sue indicazioni.
Io e Jp lo ringraziamo, sorridiamo della sua gentilezza sdentata e raggiungiamo il forno.
- Vedrai che personaggio. – mi dice Jp mentre scosta la tendina di plastica per permettermi di entrare nel locale.

Un uomo (vestito di blu, la spalla sinistra più alta della destra, bretelle sottili, capelli scuri, mani annerite dalla fuliggine, pancia perfettamente rotonda, faccia da bambinone) ci chiede di spostarci a destra della stanza. Il suo tono è cauto e gentile. C’è un tizio accanto a lui, i due parlano di qualcosa che non mi colpisce e dimentico all’istante. Il fornaio estrae una pala e capisco perché ci ha chiesto di fargli spazio: l’asta è lunga circa tre metri, ci avrebbe colpito durante la manovra. Mi abbasso e spio la profondità della fornace: il fumo che aleggia sul fondo ne nasconde la fine.

Mi guardo intorno.
A sinistra del locale (di dieci, quindici metri quadri, al piano terra) c’è una stanzetta, intuisco si tratti del bagno; sopra la porta c’è uno stendardo del Milan. A destra dell’immenso forno a legna (che si trova di fronte all’ingresso), poggiate su una mensola e ammonticchiate per terra, ci sono una trentina di teglie nere e rettangolari con dentro taralli appena cotti di varie forme e misure. Mentre annuso l’aria fragrante, Jp mi spiega che l’Uomo del Forno si limita a cuocere, non prepara. La gente gli porta focacce, taralli, legumi e pane e lui inforna e tosta.

La nonna e la mamma di Jp hanno fatto i taralli, stamattina; suo padre li ha portati al forno e ora quelli sono pronti. Jp sa che sto scattando foto con gli occhi. – Per questo ti ci ho voluto portare. – mi dice.

Quando il tizio se ne va, l’Uomo del Forno ci parla con spontaneità. Ci speravo.
- Il forno era del nonno di mio nonno, è aperto da centocinquant’anni. Mio figlio di ventidue anni fa il pizzaiolo, non vuole stare qui; e quello di dodici anni è troppo piccolo. Quando io non ce la farò più, si finisce. Ora servo cinque forni, ma un tempo lavoravo molto di più. Un giorno sono arrivati i carabinieri e mi hanno portato in caserma; mi hanno tenuto lì quattro ore. Come un criminale. Meno male che conoscevo un avvocato: c’è stato un bel braccio di ferro. Il bagno non era a norma, ora sì. – racconta mentre entrae una teglia più piccola e rotonda dal forno, dentro ci sono una manciata di fave tostate. Poi continua. - Sono stato fermo due anni e ho perso un sacco di clienti; solo ora sto recuperando. Avete visto il forno com’è profondo? È grande quanto questa stanza, uguale. Ogni tanto vengono dei milanesi a visitarlo: qualche giorno fa sono venuti pure dei tedeschi. -

L’Uomo del Forno ci dà i tre chili di taralli preparati dalla nonna e dalla mamma di Jp; Jp paga e saluta. Faccio per stringere la mano all’Uomo del Forno che, per non sporcarmi, mi porge l’avambraccio e ci regaliamo un sorriso.
- Molto piacere. – mi dice presentandosi.

- Assaggia. – mi fa Jp quando siamo fuori. Pesco un tarallo dalla sua cesta, poi ne rubo un altro.
- Buonissimi. – dico, e ho poco altro da aggiungere.
È bello poter comunicare con facilità.


2 commenti:

  1. mio DIO quant'è bella la vita....
    jp

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  2. è vero i profumi ti accompagnano per tutta la vita...il pane "casalingo" fatto in casa, il falò di rami magici...non si dimenticano mai

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Dimmi