Era
un tardo pomeriggio di agosto, la luce del giorno era quasi svanita e
i colori del tramonto avevano acceso il profilo di
Pietramontecorvino.
“Mamma!
Guarda la faccia della chiesetta!”
disse la piccola Chiarina, che aveva cinque anni e indicava
qualsiasi cosa, perché ogni
cosa le sembrava interessante e curiosa. E molto. Tombini, farfalle,
persone, fiorellini, gatti randagi, pietre, lumache, bicchieri.
Secondo il suo cervello nuovo di zecca, tutto era speciale e meritava
un commento. O una domanda. “Mamma,
perché oggi piove?”,
“Perché
sono caduta?”,
“Mamma,
perché sono piccola? Quando cresco?”.
In particolare, Chiarina provava una sorta di attrazione fatale
nei confronti della chiesa dell’Annunziata
che si trovava nel cuore di Port’Alta,
sulla via principale del paese, via che la bambina percorreva più
volte al giorno, tutti i giorni.
Fatale non nel senso di mortale – anche se gli anziani la
chiamavano la Chiesa della Confraternita dei Morti! – ma nel senso
di magico: la piccola era sicura che ci abitassero le fate. Ne era
assolutissimamente
certa dalla volta in cui aveva visto una dozzina di lucciole
illuminarne la lunetta maiolicata sul portale. Quando ci passava
davanti, con la mamma o con la zia, si lasciava travolgere da
un’euforia
bizzarra e concitata. Col papà si tratteneva, ma solo perché l’uomo
non le dava corda, e ai bambini la corda serve: ci saltano.
“Bella,
bella. Le fate adesso saranno sedute a tavola: lo sai che mangiano
presto e che poi se ne vanno a dormire... ma solo dopo essersi lavate
i denti, senza fare capricci.”
Manuela, la giovane mamma di Chiarina, non l’aveva
davvero guardata, la chiesetta: sua figlia gliela mostrava almeno due
volte al giorno, saltellando sui piedi come un grillo.
“Nooo.
Non stanno mangiando. Guarda la faccia! Oggi è spaventata: secondo
me qualcosa le ha fatto paurissima”
disse la bambina. Secondo Chiarina, la chiesa in via Cavour cambiava
espressione ogni giorno, anzi... più volte al giorno.
“Entriamo?
Solo un secondo piccolissimo! Dai mamma, andiamo a controllare... E
se qualche fatina ha visto un mostro? Perché esistono i mostri,
mamma?”
domandò
agitandosi.
Chiarina
aveva i codini flosci: i suoi capelli d’angelo,
sottili come fili di seta, sfuggivano agli elastici rosa. La madre
controllò l’ora:
prima o poi avrebbe dovuto accontentarla. E poi, la cena era già
pronta, il marito non ancora rientrato ed era parecchio tempo che non
entrava in quella chiesetta.
“Va
bene”
sospirò, “ma
solo cinque minuti”.
Chiarina
balzò in aria come un petardo e poi esplose in un gridolini
euforico.
“Ti
voglio bene, mamma!”
esclamò con gli occhi a cuoricino.
L’interno
della piccola chiesa era molto semplice, quasi scarno. L’unica
navata culminava in un arco ogivale dove un grande crocefisso
sembrava galleggiare nell’aria.
Chiarina corse verso l’altare
e si sedette nella prima fila di panche di legno, accanto a
un’anziana
signora, sottile e curva, che sgranava un rosario con la testa
coperta da un foulard nero.
“Parli
con le fatine?”
le domandò la piccola origliandone le litanie.
La
vecchietta si segnò il petto e baciò il rosario, poi le rivolse uno
sguardo inaspettatamente dolce e spensierato: “Sì”.
Manuela
raggiunse la figlia e la tirò a sé con garbo: “Non
disturbare, Chiarina”
le disse scusandosi con la vecchietta con lo sguardo.
L’anziana
signora le restituì un’occhiata
gioviale: Manuela non l’aveva
mai vista prima nonostante abitasse a Pietra da sempre.
“Non
vi inquietate, avevo finito”
disse a entrambe.
Incoraggiata
dalla frase gentile, Chiarina si mise una mano di fianco alla bocca e
le sussurrò all’orecchio:
“Parlate
tutti i giorni? Che cosa vi dite? La chiesetta oggi è spaventata
perché si sono spaventate le fatine? Perché si sono spaventate?”
le domandò senza prendere fiato nemmeno una volta.
“Ci
parlo
solo quando vogliono loro: tengono un sacco di cose da fare. Quando
è, mi dicono quello che sta da sapere sui bambini del paese: se ce
ne sta qualcuno triste, loro mi dicono chi è e come aiutarlo. Le
fatine sono amiche dei piccoli”
disse la vecchietta sistemandole un codino.
“Hanno
visto qualche mostro? Per questo si sono spaventate e la chiesetta ha
la faccia di quando io ho paura dei mostri?”
fece la bambina. La mamma provò a tranquillizzarla: “I
mostri non esistono, Chiarina. Chi ti mette in testa queste
stupidaggini?”
La
vecchietta si tolse il fazzoletto nero dalla testa e mostrò una
chioma che, con la luce arancione della chiesa, a Manuela parve
verdina.
“I
mostri esistono eccome, ma sono allergici alle fatine: appena sentono
l’odore
della loro maggia
iniziano a starnutire, si riempiono di bolle e se ne scappano”.
Chiarina pendeva dalle sue labbra. “Quando
tieni paura spalanchi gli occhi e la bocca. ora tu tieni proprio
questa faccia: tieni paura?”
“No!”
esclamò la piccola con decisione.
“Brava.
E non ne devi tenere. Pure
la meraviglia ti fa spalancare gli occhi e la bocca.”
“Perché?”
“E
chi lo sa! Forse
qualcosa dentro alla testa e dentro al cuore ci dice che ogni cosa è
speciale e che la dobbiamo osservare con attenzione. E respirare”
rispose la vecchietta rimettendosi il fazzoletto in testa. “Lo
stupore
è una cosa bella assai. La chiesa è così che si sente:
meravigliata. Non spaventata. E sai perché?”
Chiarina scosse la testa e la signora proseguì: “Perché
ogni mattina e ogni sera, una bambina speciale la ricopre di
attenzioni. E se sta una cosa che le fatine, che abitano i luoghi
silenziosi come a questo, amano più dei bambini, sono i bambini che
le cercano dappertutto.”
Chiarina
le diede un bacio sulla guancia scavata e rugosa, si alzò e
abbracciò la mamma che salutò con un gesto della mano la
vecchietta, imboccò la navata e uscì dalla chiesa mano nella mano
della figlia.
“Mamma,
chi era quella vecchietta?”
domandò quest’ultima
dopo pochi passi. “Una
fatina”
rispose la madre prendendola in braccio e riempiendola di baci.
(La faccia è dedicato al Terravecchia Festival di Pietramontecorvino che ha ospitato In attesa degli altri trasmettiamo musica da ballo lo scorso 30 agosto.)
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