Questo
post non serve a niente.
Eppure
voglio scrivere di Ettore, Vittorio e Anna.
I
loro nomi sono altri, ma non ha alcuna importanza.
Ettore,
Vittorio e Anna hanno una cosa in comune: non sono completamente
italiani, non più.
Hanno
smesso di esserlo integralmente perché hanno tutti commesso una
serie di gravissimi
errori.
Il
primo è viaggiare.
Si
spostano per necessità, per lavoro, per curiosità. Perché il mondo
è immenso, e ignorarlo non va bene a tutti. È proprio durante uno
dei loro spostamenti che hanno commesso il secondo imperdonabile
sbaglio.
Si
sono innamorati.
E
non (solo) dei luoghi, degli usi, dei costumi o del salario. Di
Kristen, Julia e Igor.
Kristen
è del Sudafrica, ha conosciuto Ettore a Johannesburg.
Julia
è della California, ma ha vissuto anche a Barcellona ed è proprio
lì che ha incontrato Vittorio.
Igor
è del Sudan, ma vive nel Belpaese da 25 anni molti dei quali in
coppia con Anna.
Kristen,
Julia e Igor, all’inizio,
non avevano granché in comune con Ettore, Vittorio e Anna.
Altro
cibo, altra religione, altre tradizioni.
Questi
caparbi e incoscienti italiani medi non si sono limitati a vivere
“lì” e “allora”.
No
no. Hanno scientemente deciso di strafare, prendendo la terza
maledetta cantonata.
Sposarsi.
Già.
Perché talvolta rendere legale l’amore
non è solo una scelta consapevole. È necessario. Nel loro caso no,
sono convolati a nozze perché è sembrata loro cosa buona e giusta.
Onesta.
Ho
partecipato al rito civile che ha unito Ettore e Kristen: hanno
giurato di amarsi e onorarsi fino all’ultimo
dei loro giorni davanti a un mucchio di parenti, amici e testimoni.
In due lingue. Ero una fra i tanti che li guardava con gli occhi
lucidi e un sorriso inevitabile sulle labbra, felice per la loro
felicità e per quella dei loro genitori.
Non
ancora contenti delle varie malefatte, sia Ettore e Kristen che Igor
e Anna hanno davvero deciso di esagerare: i primi mettendo al mondo
un bambino, i secondi adottandone uno del Burkina Faso. Vittorio e
Julia non hanno ancora osato, ma – fino a prova contraria –
rappresentano comunque un nucleo famigliare.
Tre
coppie, otto persone, tre famiglie.
Vi
ricordate di Green
card,
la pellicola con Gérard Depardieu e Andie MacDowell?
Nel
film,
Georges, un musicista francese, accetta
un impiego negli Stati Uniti e lì incontra Brontë: i due si sposano
“per convenienza” (lui ha bisogno della carta di residenza
permanente per poter lavorare, mentre lei vuole un appartamento
riservato alle coppie sposate) ma poi si innamorano e vivono felici,
contenti e americani. Chissà, magari il re di Riace si è lasciato
ispirare da Hollywood.
Essendosi
invece sposati “per amore”, Kristen, Julia e Igor dovrebbero
essere diventati italiani a loro volta, giusto? Sbagliato.
Dimenticatevi
Georges, Brontë
e gli Stati Uniti (di allora).
Qui
siamo in Italia, un paese dove ormai l’amore
non ammette ignoranza, mentre tutto il resto può osannarla.
Kristen,
Julia e Igor hanno un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di
lungo periodo ma non la cittadinanza – significa che possono stare
in Italia, che non sono clandestini e che hanno qualche diritto e
tanti doveri proprio come tutti gli italiani – ma che se per caso
Ettore, Vittorio o Anna dovessero divorziare da loro, o se dovesse
succedere loro qualcosa, il permesso da soggiornanti di lungo periodo
di Kristen, Julia e Igor andrebbe convertito in permesso di soggiorno
di lavoro o di studio. Che comunque non è la cittadinanza e che
implica il dato di fatto che abbiano un impiego da almeno cinque anni
(no, essere genitore e casalinga/o non è sufficiente) o che siano
studenti. In caso contrario, se ne devono tornare “al paese loro”
anche se lì, magari, non c’è
più (o non c’è
mai stato) niente e nessuno ad attenderli.
Con
i figli? Non necessariamente.
Potrebbero
al contrario essere costretti a lasciarli in Italia con l’altro
genitore (se campa e se li vuole). O presso una casa famiglia.
Possibile?
Fattuale.
Pur
essendo diventati mamma e papà nel paese che si riempie la bocca di
parole quali famiglia
e cristianità
e
che ringrazia la Madonna e i Santi come rito scaramantico, il
Ministero dell’Interno,
e quindi lo Stato Italiano, non riconosce l’importanza
e l’imprescindibilità del legame genitoriale: non essendo
diventato il cavallo di battaglia di nessuna forza politica,
l’indigesto Ius
soli
è rimasto in fondo alla lunghissima lista delle cosette
da fare per dimostrarci un paese civile.
Perché
Kristen, Julia e Igor si sono visti rifiutare la cittadinanza?
Per
la lingua. Poco importa che una percentuale imbarazzante di italiani
creda che l’analisi
grammaticale sia un percorso di descrizione diagnostica che possono
permettersi solo i ricchi e che quella logica sia appannaggio dei
temibilissimi radical
chic.
Le
due ragazze non hanno superato il B1 del
QCER
(test di italiano) mentre Igor ha scioccamente pensato che fornire i
suoi attestati lavorativi quale documentazione comprovante (vale a
dire centinaia di ore certificate presso la Regione e in innumerevoli
corsi presso istituzioni nazionali come il Ministero di Grazia e
Giustizia) valesse ben più di un generico test. Della serie: “È
il mio mestiere, lo faccio da 25 anni, va da sé che con i miei
utenti parlo in italiano, non gesticolo.”
No.
Non va da sé manco per niente.
E
allora che si fa?
Si
potrà sicuramente integrare la richiesta di cittadinanza con i
documenti rivisti e corretti per renderla valida al 100%! È il
minimo, no?
Infatti
no. Non si può.
Se
qualcosa non quadra, il diniego arriva e colpisce. Veloce come un
dardo velenoso.
Ma
si può rifare! Che cazzo.
Certo,
occorre ripagare 250 euro + bolli e mica bolli. Bazzecole.
Ah,
sì. Si devono anche fornire una serie di documenti di facilissima
reperibilità tipo l’atto
di nascita e il certificato penale redatti e bollati dalle autorità
del paese d’origine
e nei quali si ha soggiornato.
Come?
Niente di più agevole.
Andando
in TUTTI gli stati in cui si ha vissuto e richiedendoli.
Personalmente.
Pazienza
se si tratta di paesi che distano fra loro migliaia e migliaia di
chilometri con conseguenti spese di viaggio, soggiorno, eccetera
nonché giorni e giorni lontani dalla propria famiglia. Che volete
che sia se il premio è diventare italiani italiani e non italiani a
orologeria?
Questo
post non serve a niente.
Neppure
per quei miserabili che “Prima gli italiani” perché Ettore,
Vittorio e Anna lo erano, italiani. E ora non lo sono più. Hanno
smesso di esserlo perché se è mero
come è mero
che innamorarsi, sposarsi, mettere al mondo dei bambini e amare
significa unirsi a qualcuno per sempre, loro avranno sempre il cuore
spaccato, l’animo
incerto
e l’aspetto
infelice.
Perché l’altra
metà della mela, per il nostro governo, è un tarocco.
Moglie
e buoi dei paesi tuoi: è l’ABC.
Hai
voluto un matrimonio esotico? Adesso attaccati al tram.
Minare
libertà, serenità e amore è un diritto che il mite Ministro
dell’Interno
– last
but not least
– si è sudato a suon di tweet bestiali. Che la ricerca della
felicità sia nazionale, per Dio!
Facciamo,
se volete, che questo post serva a qualcosa.
Se
conoscete qualcuno che sta subendo la stessa ingiustizia più o meno
legalizzata, mettiamoci in contatto. Restiamo umani. Anche se sta
diventando uno sport estremo (che non tonifica nemmeno).
Difficile credere che sia possibile.
RispondiEliminaTriste e disumano...