Mancano
solo nove giorni al Natale.
E domani saranno otto, ovvio sì, ma non
abbastanza consolatorio. Che poi il problema non è il Natale in sé.
Non è il pranzo, né i regali. Non è la fede che
chi ce l’ha se la tiene stretta, e chi non ce l’ha amen. Non è
il freddo, la neve, la nebbia. Non sono le canzoncine. Il traffico.
Le lucine. I presepi e gli alberi addobbati. Non sono i viaggi da
organizzare, le valigie da preparare o i cestini da montare. O le
spese. O il vestito nuovo. Le calze che pungono. I guanti spaiati. I
dolci. Le cime di rapa, il capitone, i tortellini o i gamberoni. O i cinepanettoni. Il
problema del Natale è l’insieme di 1001 cose che già assillano
tutto l’anno ma che a Natale tintinnano furiosamente e tutte insieme. Come botti.
Tipo guerra dei sensi. A Natale c’è chi si deprime. E tanto. Forse
perché il Natale arriva sempre alla fine dell’anno, e la fine di una cosa porta sempre con sé dei bilanci. E i
bilanci pesano. Specie dopo le abbuffate. La terapia per sopravvivere
al Natale senza desiderare un cicchetto di candeggina potrebbe essere
il letargo, ma non siamo orsi. Non esteriormente. Una soluzione più razionale potrebbe essere concentrarsi sul dato di fatto che dal 21 dicembre in poi, il buio diminuirà in favore della luce. Almeno nell’emisfero boreale. Dovremmo tollerarlo, invece siamo obbligati a
festeggiarlo, il Natale. Perché se non lo facciamo, chi lo festeggia
ci fa la festa a suon di auguri. E di “A Natale si può amare di
più”. Che poi, si può e si deve hanno un valore differente. Grammaticalmente parlando. Quelli che il Natale lo amano e che se ne ubriacano, ci riempiono di SMS generici (sì, ancora), mail ossequiose, bigliettini sonori e regali riciclati. Per un “sereno
Natale”. In famiglia. Al caldo. Con la pancia piena e la mente
sgombera da pensieri negativi. Ma senza Prozac. O droghe.
Solo grazie alla magia
del
Natale che tutto colora e tutto cura. E che ci fa piovere in testa e sulle
spalle porporina dorata mista a neve artificiale che lavarla via
diventa un lavoro. Il problema del Natale è che chi è lontano resta
lontano, e chi è solo resta solo, e chi non ha un lavoro non lo
trova sotto l’albero, e che Babbo Natale non esiste. Ma dobbiamo
lasciar credere ai bambini il contrario: che Babbone sia uno giusto, uno sorridente, col pancione ma muscoloso, vecchio ma arzillo, e
che porti regali a tutti i bambini, pure ai piccoli
terremotati, con una slitta ecologica trainata da renne che mangiano
solo muschi e licheni che si sono staccati dalle pietre naturalmente,
mica vivi. E i bambini ci credono. Senza droghe. E noi questa la
chiamiamo fede. O magia. O beata infanzia. E li invidiamo. Anni fa il
giorno del Natale mi prefiggevo di perdonare qualcuno con cui avevo
litigato, giusto per dare un senso alla giornata mondiale della
bontà. Ora che non ce l’ho particolarmente con nessuno, mi domando
se, magari verso novembre, non debba inimicarmi qualcuno per poterlo
poi perdonare il giorno di Natale. Abbracciandolo e baciandolo sotto
il vischio. Regalandogli qualcosa che non siano baci perugina, fiori
o rametti d’ulivo che quelli sono riservati a San Valentino, alla
festa della mamma e della donna e alla Pasqua.
Mancano solo nove giorni
al Natale. E domani saranno otto, dopodomani sette e il 26 sarà
tutto passato, e saremo, ancora una volta, sopravvissuti. Ci si
augura.
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